La crisi era imprevedibile

Ho appena letto un interessante articolo di Paolo Sassetti sulla prevedibilità o meno delle crisi e sul come predisporci ad affrontarle nella gestione del risparmio.

L’autore afferma che il sopraggiungere delle crisi sorprende tanto le masse quanto le élite finanziarie e politiche.

 

I fatti l’hanno ampiamente dimostrato e, a conferma di ciò, cita un’affermazione di Draghi ammirato tanto da coloro che vedevano il sopraggiungere della fine della crisi così come da quelli che facevano le più fosche previsioni. Lui, al vertice del più importante osservatorio economico e finanziario del continente europeo si definiva incapace di fare previsioni affidabili.

Ciò che ne esce con le ossa rotte da questa crisi è l’inutilità delle previsioni tradizionali nella gestione del portafoglio. I migliori analisti infatti non impediscono la distruzione di un portafoglio se l’asset allocation è errata.

L’asset allocation strategica non può essere gestita unicamente con il buon senso e la convinzione di possedere la palla di vetro. In questo c’è l’assoluta necessità di utilizzare modelli, semplici o complessi che siano, ma pur sempre modelli.

Da decine di anni infatti si sa che l’asset allocation strategica è la variabile dominante nella performance del portafoglio ma ben pochi si interessano alle metodologie con cui gestirla. L’applicazione sistematica di modelli, anche se semplici, garantisce all’investitore (o gestore) razionalità ed efficacia.

Sappiamo altrettanto bene che anche i modelli presentano delle imperfezioni e spesso producono dei falsi segnali. Quando ciò accade l’investitore, che ha ridotto o azzerato l’esposizione sul titolo (o sul mercato), perde inevitabilmente un pezzo di upside.

Nella concezione di Sassetti questo non è altro che il pagamento di un premio di assicurazione contro il rischio di rovina che si potrebbe verificare qualora il trend primario risultasse effettivamente invertito. Se si iniziasse a ragionare, afferma l’autore, in termini assicurativi si ricondurrebbero i falsi segnali dei modelli quantitativi a un costo ineludibile, il prezzo per la salvaguardia della conservazione dell’investimento. Nessuno infatti si lamenta se, dopo aver pagato un premio di assicurazione contro gli incendi, la sua casa non è andata a fuoco.

Siamo costretti a convivere con crisi che si manifestano ogni 4 – 6 anni (è l’essenza stessa del mercato, il suo “battito cardiaco”) ma non per questo dobbiamo rassegnarci a subirle passivamente.

Ma qual è invece la realtà che emerge dall’Osservatorio sui risparmi delle famiglie 2012 realizzato da GFK Eurisko e Prometeia? I risparmiatori italiani comprano Buoni Postali e Beni Rifugio, mantengono forti somme liquide o le dirottano su “conti di deposito”.

In tema di risparmio gestito l’analisi ci conferma che questo si sta riducendo sistematicamente rispetto al passato, sintomo di un malessere che risulta abbastanza diffuso presso gli investitori in questa tipologia di prodotti. Come potrebbe non essere così visto che le famiglie italiane sono ancora oggetto di troppe attenzioni commerciali da parte dei loro referenti ma non di proposte gestionali? Come possono adottare modelli di gestione del loro patrimonio se lo scenario è purtroppo ancora permeato di scarsa conoscenza della materia e di diffidenza verso gli operatori senza distinguo alcuno, fra quelli più preparati e quelli che lo sono meno?

Ecco perché si sta liquidi, si comprano le obbligazioni bancarie (che gran business per gli istituti di credito…), fondi monetari dai costi esorbitanti e c’è sempre meno spazio per gli asset più volatili.

Un bel misto di paura (legittimamente giustificata peraltro) e di irrazionalità. Ma ripensare alle metodiche di investimento, no? Troppa fatica? Meglio dunque continuare ad indossare l’abito della pecora e farsi tosare sistematicamente dai furbetti di passaggio o piuttosto dotarsi di un buon cane da guardia che vegli e protegga il gregge?