Poco meno di due anni

Poco meno di due anni fa lanciai un messaggio ai miei clienti predicendo loro che stavamo andando incontro ad un diverso “stile” dellai finanza pubblica, caratterizzato da tagli della spesa e trasferimenti di costi dal pubblico al privato e che alla fine di questo processo i patrimoni privati dei cittadini si sarebbero inevitabilmente assottigliati e che tutto ciò sarebbe stato irreversibile.

La mia convinzione era che le risorse pubbliche fossero ormai al limite dell’esaurimento e che i margini di manovra fossero decisamente limitati; stretti nella morsa di una crisi molto più lunga del previsto un’ulteriore espansione della spesa pubblica non finalizzata alla crescita avrebbe costretto le autorità governative ad agire sia sotto il profilo fiscale che adottando misure di riduzione del welfare.

L’incapacità di produzione di nuovo risparmio avrebbe indotto le famiglie italiane, restie a mutare repentinamente i propri modelli di vita, ad intaccare lo stock di ricchezza accumulata negli anni del boom trasformando in profondità l’intera società , determinando infine un radicale mutamento nell’approccio all’investimento.

Come era prevedibile il mio invito passò nella quasi totale indifferenza dei destinatari; del resto poco o nulla nei comportamenti sociali, nei salotti televisivi, nelle pagine dei giornali confermava tutto ciò. Ci volle la crisi estiva dello scorso anno per rendere visibile la parte sommersa dell’iceberg ed il re si trovò improvvisamente nudo. La crisi era scoppiata e le legnate fiscali stavano già arrivando.

Riprendo dunque questo tema per piantare dei paletti su alcuni aspetti di questo enorme problema (quelli che mi stanno ovviamente più a cuore) al fine di darne delle chiavi interpretative inducendo i più lungimiranti ad agire preventivamente sulle proprie convinzioni e, di conseguenza, sui propri comportamenti.

Partiamo dalla situazione delle famiglie italiane come l’ha recentemente fotografata l’Istat; la crisi ci ha resi più poveri portandoci indietro di molti anni sia sui redditi che sui risparmi, divaricando ulteriormente la forbice fra i più abbienti ed i meno abbienti, fra generazioni e anche a livello territoriale.

Le retribuzioni contrattuali in termini reali tra il 1993 ed il 2011 sono rimaste ferme. Il reddito reale disponibile delle famiglie è diminuito nel 2011 per il quarto anno consecutivo riportandoci indietro nel tempo, a dieci anni fa. In termini assoluti la perdita è stimata in 1.300 euro a testa.

La propensione al risparmio è scesa all’8,8% nell’ultimo anno, la percentuale più bassa dal 1990 (quando iniziai l’attività professionale, ad inizio anni ’90, si attestava storicamente su percentuali che stavano al disopra del 20%!!).

Nell’ottobre del 2010 il giornale spagnolo El Pais pubblicava una classifica che metteva a confronto la crescita economica di 180 paesi nel decennio e l’Italia figurava al 179^ posto, seguita unicamente dalla poverissima Haiti. La situazione non sembra essere migliorata ed in ogni caso fra il 2000 e il 2011 la nostra crescita resta l’ultima in ambito UE (27 paesi membri…).

L’economia sommersa è sempre più una piaga che viene stimata fra i 255 e 275 miliardi di euro, ossia fra il 16,3 e il 17,5% del Pil. Pensiamo agli effetti sul debito pubblico e sulle tasche dei cittadini più virtuosi come cambierebbe la situazione sociale ed economica complessiva se per un decennio queste cifre si potessero di colpo azzerare….

Nel paese ci sono 2,1 milioni di giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet). Tra gli under 30 il tasso di disoccupazione ha superato il 20% e anche quando sono impiegati oltre un terzo di essi ha un lavoro a tempo determinato, ossia precario.

A dieci anni dal primo impiego quasi il 30% è ancora inserito nella precarietà, il 10% non ha più un’occupazione e una quota consistente ha vissuto situazioni di mobilità discendente. Da qui una forte reazione negativa che porta allo scoraggiamento, tale da indurre alla rinuncia; risulterebbero ben 1 milione e 800 mila gli inattivi.

La mobilità all’interno della scala sociale si è ancor più ristretta e si sono ulteriormente ridotte le opportunità di miglioramento mentre stanno aumentando quelle di peggioramento. Solo l’8,5% di chi ha un padre operaio riesce ad accedere a professioni ambite e ben remunerate. I percorso formativi, ossia la porta principale per la mobilità, sembrano a loro volta bloccati ma questo non deve destare meraviglia se si pensa a quanto abbandonata a sé stessa sia la scuola italiana.

Si sono allargate le disuguaglianze fra nord e sud dove sono povere 23 famiglie su 100 (al nord il 4,9) ed in quelle aree permangono strutturali carenze nell’offerta di manodopera unitamente a forti svantaggi nella dotazione di servizi sociali, sanitari e ambientali.

Il risparmio va velocemente diminuendo e per conservare, in tutto o in parte, il tenore di vita ante-crisi si vanno ad intaccare i “tesoretti” di famiglia ma le riserve stanno diminuendo e le più recenti tendenze inducono a pensare ad una prossima reale riduzione dei consumi.

Il quadro assume tinte ancora più fosche se andiamo a scavare dentro fenomeni meno visibili. Uno di questi è la previdenza complementare. Non spenderò che qualche parola sulla necessità di dotarsi di una stampella per il mantenimento di un tenore di vita almeno accettabile nell’età post-lavorativa (e quanto poco è avvertita ancora questa necessità nel noto paese…) ma vado direttamente al cuore del problema che il mese scorso ha evidenziato Marco Lo Conte in suo articolo.

Moltissimi aderenti alla previdenza complementare sono ricorsi all’utilizzo delle anticipazioni per far fronte a spese mediche, ristrutturazione dell’abitazione, altre esigenze. Questo fenomeno sta a dimostrare che:

  1. molte famiglie hanno esaurito le riserve finanziarie tradizionali
  2. gli accantonamenti previdenziali sono sempre più utilizzati come ammortizzatori sociali e questo fenomeno è inquietante in quanto va direttamente ad intaccare il futuro tenore di vita degli attuali lavoratori, poveri ora ed ancora più poveri domani.

In un contesto simile il risparmio meriterebbe una ben diversa attenzione. Dato che il risparmio è per sua natura accantonamento nel presente per utilizzo futuro, dunque ammortizzatore sociale “privato”, andrebbe a mio giudizio maggiormente tutelato e favorito, magari indirizzandolo verso investimenti di lungo termine proteggendolo attraverso norme fiscali più consone e mirate (tesi che sostenni moltissimi anni or sono in sede di tesi di laurea).

Del resto mi auguro che questa situazione porti ad una maggiore sensibilizzazione – per queste delicate questioni sociali – dei cittadini-risparmiatori e li induca a richiedere alla politica queste tutele ma che sia anche foriera di cambiamento negli atteggiamenti che ancora oggi essi hanno nei confronti del risparmio.

Se le difficoltà li stanno opprimendo, se i mercati li stanno deludendo, se si stanno sgretolando i sistemi di welfare, se un manuale di istruzione per una società in rapido mutamento non è ancora stato dato alle stampe è forse ora che si rivolgano ad un bravo consulente, ossia a qualcuno che li aiuti ad orientarsi nella vita.

L’assenza di denaro e strategie pubbliche stanno di fatto restituendo nuove responsabilità alle persone e queste responsabilità richiedono competenze che vanno al di là delle normali capacità dei singoli cittadini che nella vita si occupano di altre cose e che non hanno nemmeno più tempo da dedicare allo studio delle dinamiche economiche e finanziarie connesse ai risparmi.

Mai come ora il ruolo del consulente è stato tanto cruciale e mai come oggi la consulenza ha spostato il suo asse; non si tratta più solo di leggere i comportamenti dei mercati ma si tratta di anteporre a ciò la lettura della vita dei clienti aiutandoli a risparmiare, a proteggersi, a investire, a soppesare l’incidenza fiscale degli strumenti, a valutare con razionalità che i rischi siano ripagati adeguatamente, a integrare le proprie pensioni, a pianificare con intelligenza.

Il ruolo del consulente deve essere valutato come un primario bene della società; è ora di cambiamenti, è ora di uscire dalle nostalgie del passato e abbandonare teorie che non funzionano più per noi stessi. E’ ora di entrare con gli occhi ben aperti in un mondo nuovo, in una diversa quotidianità, e come direbbe Barack Obama, yes we can.