Sappiamo cosa accade quando fallisce una banca importante?

Che insegnamenti possiamo trarre da queste vicende?

A marzo pubblicai un articolo incentrato sulla sicurezza di alcune (poche) banche e sulla precarietà di (molte) altre dal titolo “Banche sicure? Alcune si, altre meno, altre ancora no” e più recentemente sul rapporto intercorrente fra istituti bancari e clienti. Questi due argomenti hanno molti tratti in comune e sul secondo tema mi riservo di ritornare presto con alcune “istruzioni per l’uso” all’interno dei moduli di educazione finanziaria ma oggi intendo mettere in luce quegli aspetti sostanzialmente rimasti nel frattempo lettera morta; per essere esplicito intendo dire che va posta la massima accortezza sulla solidità patrimoniale e gestionale delle banche alle quali sono affidati i risparmi di una vita.

Perché dico ciò? Per prima cosa perché alcuni miei clienti, da me informati di sentori di instabilità patrimoniale e reddituale delle loro banche, hanno accolto queste notizie con sufficienza addirittura minimizzando la cosa e nei fatti concreti hanno mantenuto le relazioni con tali istituti negli stessi termini di prima; il secondo motivo è che almeno uno di questi è finito in amministrazione straordinaria creando loro non pochi problemi.

Cerchiamo di capire alcuni passaggi fondamentali di questa triste vicenda e cerchiamo altresì di imparare la lezione. Scherzare col fuoco può anche essere divertente ma finire al reparto grandi ustionati di un rinomato complesso ospedaliero è senz’altro una brutta esperienza.

Il caso è quello di Banca Network. Questa è una storia, come ho premesso, che deve far riflettere. La banca è finita in amministrazione straordinaria e per mesi nessuno (dipendenti, promotori e clienti) si è accorto della puzza di bruciato che andava progressivamente aumentando. La storia è travagliata, la banca da tempo era in amministrazione straordinaria ed era noto che fra i soci tirava una brutta aria: nessuna unità di intenti a livello operativo, nessuno voleva mettere mano al portafoglio per dare il via ad un qualsivoglia progetto di rinnovamento, nessun nuovo socio disposto a far parte dell’azionariato (cosa non facile peraltro di questi tempi in Italia) e lo scivolo del disastro si è andato facendo sempre più ripido.

Attenzione, non stiamo parlando di quattro furbetti del quartierino ma i soci sono nomi importanti nel panorama imprenditoriale nazionale; si tratta del Banco Popolare, di Sopaf, del gruppo assicurativo Aviva, della famiglia De Agostini.

Quattro gatti la loro clientela? Non si direbbe proprio, stando ai numeri. I clienti sono 28.000 con un patrimonio di circa 2 miliardi. La banca, dal canto suo, contava una settantina di dipendenti ed una rete di promotori finanziari composta da 300 professionisti. Non un colosso, dirà qualcuno, ma non sono certo bruscolini.

Punto primo, non è stato un fulmine a ciel sereno. Tutta la stampa ne parlava da mesi e non c’è da chiedersi perché gli operatori della banca, ma soprattutto i loro clienti, sono rimasti impassibili ad attendere gli eventi? Come mai tante difficoltà nel comprendere una situazione così palesemente critica? Non è che l’essere passati, ormai da qualche anno, nell’era dell’in-sicurezza sia un dato di fatto di cui i risparmiatori italiani non vogliano ancora rendersi conto? Le più importanti società immobiliari, bancarie ed assicurative del mondo occidentale sono cadute come birilli in una manciata di mesi, per il mondo circolano tuttora montagne di titoli spazzatura, i governi occidentali un giorno sì e uno no non sanno se il mercato assorbirà le nuove emissioni di debito, i cittadini di mezzo mondo sono in piazza o perché non hanno più un lavoro o perché hanno le tasche vuote avendo dovuto versare nelle casse dell’Erario una quantità aggiuntiva di denaro (si dovevano pure salvare le banche e i “magri” emolumenti dei loro oculati amministratori) ma in Italia abbiamo la ferrea convinzione dell’esistenza benevola di un grande Santo Protettore (con le maiuscole, ovviamente) che guarirà tutti i mali e terrà in piedi il sistema.

Per chi non lo sapesse, un provvedimento di amministrazione straordinaria viene preso per accertare la situazione aziendale e avviare soluzioni nell’interesse dei depositanti e viene disposta con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, emanato su proposta della Banca d’Italia, cui spetta la nomina degli organi straordinari. Insomma non un provvedimento che si prende proprio a cuor leggero. Eppure non è bastato come segnale. Non è che i soggetti coinvolti attendessero che un araldo, annunciato da grandi squilli di tromba, avesse dovuto bussare alla loro porta ed annunciare l’editto repubblicano di un possibile stato di insolvenza?

Forse è ora di togliersi di dosso questa patina usurata di ingenuità e tornare di gran passo nel mondo reale. L’errore sta nella relazione molto forte che c’è fra i risparmiatori ed i loro referenti bancari che fa passare tutto in secondo piano, discorso da estendere anche all’andamento dei prodotti sottoscritti. Magari i clienti si lamentano per il servizio, il costo elevato rispetto alla concorrenza ma difficilmente cambiano banca. E qui entra in gioco un altro fattore importante: la resistenza al cambiamento. Per molte persone cambiare è una scelta molto difficile. Soprattutto quando le cose non vanno bene. Si spera in un miglioramento. Magari in un ritorno al prezzo di carico se si è fatto un investimento che è in forte perdita. Cambiare significherebbe ammettere di aver sbagliato. E molti risparmiatori questo non vogliono ammetterlo; è scientificamente dimostrato.

Fatto sta che questi sono i fatti. Ora andiamo alle conseguenze e ci tengo a sottolinearlo perché il caso di questa banca potrebbe non essere un caso isolato e, prima di piangere lacrime amare, è meglio essere informati ed evitare che tutto ciò possa accadere anche a noi. È un dovere per noi e per le nostre famiglie che dobbiamo tutelare.

I conti correnti, in questi frangenti, vengono bloccati, anche senza alcun preavviso. Da un giorno per l’altro non si possono più effettuare prelevamenti né allo sportello né con il bancomat. In caso di acquisti con il P.O.S. (ossia l’utilizzo del bancomat presso negozi, supermercati, ecc.) alla cassa ci viene detto che la carta non funziona e dobbiamo lasciare la merce sul bancone. Non possiamo staccare assegni. Non possiamo effettuare bonifici, pagare le bollette, pagare le cartelle esattoriali. Il nostro denaro non lo possiamo toccare, almeno fino a quando non viene sancito ufficialmente lo sblocco ed i tempi possono essere anche molto lunghi; dipende dalla complessità della situazione e dalla correttezza o meno delle risultanze contabili della banca. Se la situazione si protrae i nostri creditori (non pagati alle scadenze convenute) agiscono nei nostri confronti: ed ecco che ci tagliano le forniture dell’acqua, del gas, della corrente elettrica, del telefono e auguriamoci che siano state rispettate le scadenze fiscali altrimenti finiamo nelle maglie di Equitalia, e allora sì che son dolori…

In caso di fallimento le nostre tutele passano attraverso il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, procedura lenta e limitata ai massimali previsti e va ricordato che il fondo di per sé non è una cassa fisicamente piena di denaro ma è un impegno reciproco dei partecipanti al sistema la cui validità è commisurata alla tenuta stessa del sistema. In altre parole non è un pozzo di San Patrizio e, in caso di insolvenze bancarie di grande portata, ho personalmente forti dubbi che questo Fondo possa funzionare come legittimamente ci aspetteremmo.

Diverso è il discorso per gli investimenti di natura finanziaria; per i dossier titoli detenuti non c’è nessun blocco (normalmente) e i clienti possono trasferire i propri titoli (azioni, fondi, sicav, etf, ecc…) presso un altro istituto. Se accade tutto ciò si vanno ad esaminare gli investimenti (manca la fiducia, dunque si controlla minuziosamente ciò che non era stato minimamente discusso in sede di acquisto o sottoscrizione) e talvolta emergono cose poco piacevoli; non è raro infatti il caso in cui si scopre che la nostra banca ci abbia collocato dei prodotti (es. certificati, obbligazioni strutturate, polizze index o unit linked, ecc.) con ricarichi molto elevati e durate lunghissime. Prodotti che magari non sono poi andati particolarmente bene e da questi prodotti i clienti non possono uscire facilmente prima della scadenza salvo pagare uno scotto disastroso. È così che si scopre di botto la differenza fra titoli liquidi e illiquidi, fra titoli subordinati e senior, fra investimenti trasparenti e meno trasparenti e sale la rabbia per aver dormito imprudentemente sonni tranquilli per molti anni.

Un capitolo a parte va aperto per le eventuali azioni o obbligazioni riconducibili alla banca stessa che seguiranno la sorte dell’istituto. Le obbligazioni sono veri e propri crediti che saranno rimborsati – in caso di fallimento – nella misura in cui il capitale residuale (quello che resta dopo aver pagato i creditori privilegiati) sarà capiente. Pagati tutti i creditori quello che resta (di solito ben poco) viene distribuito agli azionisti in misura proporzionale all’impegno avuto nella società.

Mi lascia un po’ di amaro in bocca aver dovuto trattare questo argomento. In un mondo efficiente e serio non ci dovrebbero essere banche che falliscono ma il mondo attuale non è più così e ormai la preparazione e la competenza sono valori che non possono essere trascurati; in finanza, poi, non sono più disponibili ai comuni risparmiatori. Purtroppo non sono nemmeno valori così diffusi nemmeno tra gli operatori, questo caso ce lo dimostra; distratti non erano solo i clienti ma anche i cosiddetti esperti della banca stessa.

La differenza sta nella competenza, nella preparazione, nella correttezza e nell’etica professionale. Come fare a distinguerli? Per prima cosa bisogna cercarle, queste qualità e poi saper distinguere chi ha queste qualità e chi non le ha. Ma questo è un altro capitolo. Un’altra storia che racconterò presto. Prima però intendo prendermi una breve vacanza. Quest’anno ho dedicato una gran quantità di energie al lavoro di formazione, allo studio, alla strutturazione della divulgazione indipendente di tematiche finanziarie (questo blog ne è la testimonianza) ed ovviamente al mio effettivo lavoro, quello di strutturare e conservare al meglio il patrimonio dei miei clienti.

A presto dunque, certo che al mio ritorno troverò gli stessi problemi di oggi; non c’è bacchetta magica al mondo che li potrà risolvere in pochi giorni e, per stare al passo in tempi così difficili come questi, dovremo impegnarci duramente. In economia, lo sappiamo bene, i pasti gratis non esistono…