Sentenza della Consulta. Possibili “effetti collaterali”…

Poco più di due anni or sono pubblicai un articolo dal titolo “Titoli di Stato. Risk free! …o no?” nel quale informavo dell’introduzione delle cosiddette “Clausole di azione collettiva” con le quali si è sancito il concetto che titoli sino ad allora considerati “sicuri” come ad esempio le obbligazioni bancarie e i titoli di Stato (decreto 96717 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non fa altro che riprendere una norma del Trattato di Istituzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) sottoscritto dai 17 paesi dell’Eurozona).

In buona sostanza questo decreto dice che dal 1° gennaio 2013 tutte le emissioni di titoli di Stato italiani con durata superiore a un anno sono soggetti a delle Clausole di Azione Collettiva (CACs). Queste clausole prevedono che i termini e le condizioni dei titoli di Stato possono essere modificati mediante un accordo tra l’Emittente (lo Stato o Ente collegato) e una percentuale di detentori (gli investitori). Le percentuali sono a seconda dei casi 75%, 66 e 2/3%, e in alcune occasioni 50%; una volta raggiunte tali percentuali le modifiche di termini e condizioni si applicano a tutti i detentori.

Ripropongo alcuni esempi concreti:

  • La data dei pagamenti di cedole o rimborsi. Ad esempio: il titolo scade nel 2020? La scadenza viene spostata al 2025. Slittamento possibile anche per le cedole periodiche.
  • La riduzione dei pagamenti e del rimborso. Ad esempio: il titolo valeva 1.000 euro? Ne verranno rimborsati solo 500. Stesso discorso per le cedole periodiche.
  • Il cambio del metodo per calcolare i pagamenti. Ad esempio: il titolo dava un rendimento connesso all’inflazione? Verrà corrisposta solo una frazione della rivalutazione derivante dal variare del costo della vita, oppure non verrà corrisposta affatto.
  • Il cambio della valuta e del luogo di pagamento. Ad esempio: il titolo era emesso in euro? Può essere rimborsato in lire, naturalmente nemmeno il valore di cambio costituisce una certezza.
  • La modifica della seniority. In pratica l’ordine di preferenza con cui il titolo viene rimborsato rispetto ad altri creditori.

In buona sostanza, tutti i titoli di Stato con durata superiore a un anno emessi a partire dal 2013 possono essere modificati a piacere al fine di rispondere alle necessità di cassa dell’emittente.

Nei giorni scorsi siamo stati tutti testimoni di una vicenda che, alla luce di quanto sopra, dovrebbe far riflettere. A seguito della nota sentenza della Consulta sul congelamento della rivalutazione delle pensioni (deciso dall’esecutivo Monti con il decreto Salva Italia) è stato richiesta agli aventi diritto la liquidazione delle somme non erogate ai sensi di tale legge (si parla di ca. 18 miliardi di Euro). Il governo ha annunciato che ne rimborserà una parte, appena 2 miliardi.

Si tratta di un evidente adempimento parziale per mezzo del quale lo stato elude una sentenza di condanna e decide di decurtare il proprio impegno, fatto ritenuto censurabile e inappropriato da molti osservatori oltre che dalla stragrande maggioranza degli aventi diritto.

Ora, se trasferiamo pari pari questa vicenda all’impegno preso con i sottoscrittori del debito pubblico (ca. 2.200 Miliardi – ad oggi) e la facciamo calare all’interno della normativa di cui in premessa ne scaturiscono alcune considerazioni.

La prima è che la difficoltà di far fronte ad un impegno relativamente elevato rispetto all’ammontare complessivo del debito (si tratta dello 0,18%) è un sintomo inequivocabile della difficile situazione in cui versa la finanza nazionale.

La seconda, conseguenza diretta della prima, è che assolvere all’impegno ben più gravoso della restituzione del debito (o di una sua significativa parte) è oltremodo difficile e gravoso.

La terza è che il decreto di cui in premessa potrebbe realmente trovare – prima o poi – una reale applicazione dato che, di fatto, lo stato italiano avrebbe già praticato una simile soluzione nel caso della sentenza sulle pensioni.

Tutto ciò farebbe pensare ad una possibile “bancarotta” o a un “concordato” in termini probabilistici più elevati rispetto a qualche anno fa. I detentori del debito pubblico hanno fatto queste valutazioni? In che modo prezzano queste maggiori probabilità in termini di rendimento richiesto per il rischio assunto? Sono a conoscenza del rating corrente del debito pubblico italiano?

Uno degli errori più classici degli investitori è quello di diversificare molto poco al di fuori dei confini nazionali. Una buona consulenza, che siano valide o meno le considerazioni di cui in premessa, dovrebbe correggere questa anomalia e pesare correttamente i rischi assunti dagli investitori.

…E poi ci si chiede a cosa servano i consulenti…